Il Disturbo da stress post-traumatico (PTSD)
è una patologia che può svilupparsi in persone che hanno subìto o hanno
assistito a un evento traumatico, catastrofico o violento, oppure che sono
venute a conoscenza di un’esperienza traumatica accaduta a una persona cara.
A
tutti noi può capitare di vivere esperienze soverchianti, spaventose e
percepite come al di fuori del nostro controllo, come essere coinvolti in un
incidente stradale o subire un’aggressione. In particolare, alcune figure
professionali – ad esempio, militari, membri delle forze dell’ordine, personale
sanitario o vigili del fuoco – hanno maggiori probabilità di essere esposti a
episodi o dettagli particolarmente violenti e sconvolgenti. La maggior parte
delle persone riesce a superare lo shock iniziale senza necessità di supporto
aggiuntivo; se però la sofferenza della vittima si prolunga per oltre un mese dall’esposizione al trauma e interferisce
significativamente con la vita lavorativa, sociale o scolastica dell’individuo,
va posta la diagnosi di PTSD.
Secondo la quinta edizione del Manuale
Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali (DSM-5; APA, 2013), per fare
diagnosi di PTSD è necessario valutare la presenza dei seguenti criteri:
Esposizione a evento traumatico come a morte o minaccia di morte, grave lesione oppure violenza sessuale. Come già accennato qui sopra, l’esposizione può avvenire in diversi modi:
Similmente a quanto osservato nel
Disturbo Acuto da Stress, la vittima si ritrova a rivivere ripetutamente il
momento del trauma. Ad esempio, ciò può avvenire sotto forma di flashback, cioè percezione di star
risperimentando l’evento nel presente, fino alla completa perdita di
consapevolezza dell’ambiente circostante. I flashback sono di solito
accompagnati da intensa paura e reattività fisiologica (battito cardiaco
accelerato, sudorazione, tensione muscolare e nausea). Alcuni particolari che
ricordano il trauma possono diventare dei trigger, cioè possono scatenare un
flashback in modo improvviso. Un’altra forma di risperimentazione del trauma
avviene attraverso gli incubi, il
cui contenuto spesso riguarda, in maniera più o meno esplicita, persone,
situazioni, luoghi o particolari legati all’evento traumatico.
Nel tentativo di evitare la
risperimentazione del trauma, la vittima può cominciare a evitare situazioni esterne (attività, conversazioni, persone, ecc.) che ricordano,
simboleggiano o sono in qualche modo associate all’evento traumatico. Con il
tempo, questa strategia di coping
diventa sempre più problematica, poiché la persona può finire per ritirarsi
dalle interazioni sociali, smettere di frequentare i luoghi abituali, o
cambiare significativamente le proprie abitudini per non incorrere in dettagli
che possano scatenare sintomi disturbanti. L’evitamento può riguardare anche l’esperienza interna della persona: in
maniera più o meno consapevole, la vittima può sopprimere ricordi spiacevoli o
emozioni intense e negative, ad esempio facendo uso di alcool e droghe,
gettandosi a capofitto nel lavoro, adottando comportamenti sessuali compulsivi
e a rischio, giocando d’azzardo o infliggendosi dolore fisico mediante atti di
autolesionismo. La strategia dell’evitamento può essere funzionale nel breve
termine, ma alla lunga ostacola l’elaborazione delle esperienze traumatiche.
L’evento traumatico viene vissuto da
molte vittime come uno spartiacque tra il “prima” e il “dopo”, tra la “salute”
e la “malattia”. La persona può sviluppare convinzioni o aspettative negative
su se stessa (“sono cattiva”, “sono responsabile di quanto mi è accaduto”), gli
altri (“non ci si può fidare di nessuno”, “gli altri vogliono sfruttarmi o
abusarmi”) o il mondo (“il mondo è un posto pericoloso”, “non c’è speranza per
il futuro”). Anche la memoria può essere significativamente alterata, ad
esempio la persona può non ricordare particolari anche estesi del trauma, un
fenomeno noto come amnesia
post-traumatica. Emozioni negative comunemente esperite includono colpa,
vergogna, rabbia, paura e umore depresso. Per proteggersi dal dolore
psicologico, la persona può cercare di distaccarsi dalle proprie emozioni, e
può quindi risultare insensibile, disinteressata o estraniata rispetto agli
altri, anche quando si tratta di persone care o di attività che precedentemente
le procuravano gioia.
L’essere umano è evolutivamente
programmato per combattere o fuggire da situazioni che sono pericolose in un
determinato momento, ma quando il pericolo cessa la stessa cosa tipicamente
accade per lo stato di attivazione (arousal)
che ha reso possibile la risposta difensiva. Tuttavia, nel caso del PTSD,
questa modalità difensiva è costantemente attivata, risultando in uno stato
fisiologico di iper-arousal che non si esaurisce naturalmente. La persona
sviluppa una sorta di ipersensibilità ai potenziali segnali di pericolo, che la
porta a essere costantemente in allerta, a rispondere in maniera esplosiva e
rabbiosa anche in assenza di provocazione e a vivere in uno stato di
ipervigilanza e tensione che va a interferire con la capacità di calmarsi o di
addormentarsi.
Questo profilo di sintomi deve essere
persistente (durare più di un mese; Criterio
F), creare sofferenza e interferire con il funzionamento della persona in
aree importanti (Criterio G) e non
essere attribuibile agli effetti di sostanze stupefacenti o a un’altra
condizione medica (Criterio H).
In alcuni casi, i sintomi del PTSD
possono manifestarsi in forme particolari, di cui le più note sono:
●PTSD con sottotipo dissociativo: oltre ai
sintomi nucleari del disturbo, la persona riporta persistenti sintomi di
dissociazione, come depersonalizzazione
(sensazione di distacco dal proprio corpo e dai propri processi mentali, oppure
di essere un osservatore esterno di se stesso) o derealizzazione (sensazione di distacco dall’ambiente circostante,
che appare irreale, distorto o come in un sogno). Le persone possono
dissociarsi per sfuggire “mentalmente” e sopravvivere all’esperienza del trauma
mentre avviene (dissociazione peritraumatica),
ma anche in seguito per proteggersi da emozioni e stati soverchianti.
●PTSD a espressione ritardata: sebbene possano
esserci dei segni precoci, i sintomi del disturbo si manifestano pienamente dopo oltre 6 mesi dall’esposizione
all’evento traumatico. L’intero quadro sintomatologico può addirittura
comparire dopo diversi anni dall’evento, come nei casi degli adulti che
sviluppano il PTSD a molti anni dagli abusi infantili.
● PTSD nei bambini: anche i bambini possono
sviluppare il PTSD, ma alcuni dei sintomi caratteristici variano rispetto alle
presentazioni adulte. Ad esempio, elementi del trauma possono non essere
rivissuti direttamente, ma rimessi in atto attraverso il gioco, mentre il contenuto traumatico dei sogni può non essere
immediatamente riconoscibile. I sintomi di iperattivazione si evidenziano in
particolare in problemi di condotta, attenzione e concentrazione in ambiente
scolastico.
● PTSD complesso (C-PTSD): questa forma si
manifesta tipicamente in seguito a traumi precoci, di natura interpersonale (ad
esempio, abuso fisico, sessuale o psicologico ad opera di una figura di
accudimento) e di tipo cronico (come maltrattamenti ripetuti, violenze
cumulative o grave trascuratezza).